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Tutore per minori stranieri, un mestiere sconosciuto. Emme Zeta: "A far del bene ricevi del bene"

 |  Redazione sport  |  Commento del giorno

Nel vortice di polemiche che oramai da anni avvolge qualunque argomento che, anche indirettamente, tocca la problematica dei migranti, qualche volta emerge anche una piccola - piccola ma sostanziale - luce di speranza.

Stiamo parlando di una figura, quella del tutore dei minori stranieri (di cui, sia detto per inciso, ignoravamo persino l’esistenza) che è stata introdotta nel nostro ordinamento dalla legge 47 del 2017 e che ha dimostrato negli anni di costituire un fondamentale supporto al processo di integrazione dei minori stranieri non accompagnati che si affacciano, sempre più numerosi, ai confini nazionali e, per quello che qui più ci interessa, di quei ragazzi che, dopo una allucinante rotta balcanica, approdano in Friuli Venezia Giulia.

Quali sono i compiti di questa particolare figura?  In buona sostanza, il “tutore volontario” ha il compito di rappresentare legalmente il minore straniero non accompagnato aiutandolo nella presentazione della richiesta del permesso di soggiorno, nelle scelte scolastiche e sanitarie, nella firma di un qualunque documento avente valore legale (un certificato, piuttosto che l’apertura di un conto corrente) o , ancora, nell’amministrazione dei beni (ammesso e non concesso, ovviamente, che il minore ne abbia!). In definitiva, il tutore volontario (che, tra l’altro, non risponde per legge di eventuali reati commessi dal minore, in quanto la responsabilità penale è personale) è un preziosissimi assistente  che deve aver cura della persona del minore, vigilando sul suo benessere, seguendone il percorso formativo e quello di inclusione.  Sono, come appare evidente, compiti, allo stesso tempo, delicati ma estremamente gratificanti.

Quali sono i requisiti richiesti? Avere compiuto 25 anni di età, essere residente in Italia e non avere precedenti penali. Cosa occorre fare per candidarsi a questo ruolo? Occorre rivolgersi al Servizio Organi di garanzia del Consiglio regionale e poi frequentare e superare un corso di due settimane, organizzato dal Garante regionale per i diritti alla persona, che approfondirà profili giuridici, sociali e pratici.

Periodicamente, vengono inoltre svolti corsi di aggiornamento per quanti sono già iscritti negli elenchi dei tutori volontari. In pratica, una volta superato l’esame a fine corso ed iscritto al registro, cosa può accadere? Succede che si viene chiamati dal tribunale per I Minorenni di Trieste (NdR: che ha competenza su tutto il territorio regionale), si fa un breve colloquio col giudice onorario delegato e, se ci sono i requisiti, si viene nominati tutore di un minore che necessita di tutela, previo giuramento.

A quel punto, il tutore è legittimato a mettersi in contatto con la struttura di accoglienza che ospita il minore e con lo stesso minore (di cui sarà giuridicamente responsabile sino alla maggiore età). Il meccanismo pare abbastanza semplice e serve, per l’appunto, a fornire un indispensabile supporto al minore straniero che, per qualsiasi motivo, si trovi sul territorio nazionale senza assistenza da parte di genitori o di altri adulti che ne siano legalmente responsabili.   Quali sono  i “clienti-tipo” in Friuli Venezia Giulia?      

 In massima parte, si tratta di giovanissimi afgani, pakistani, bengalesi e kosovari con età media tra i 16 e i 17 anni e che, nonostante siano sopravvissuti alle bolge della rotta balcanica, necessitano di un sostegno che possa aiutarli nel cammino di crescita qui in Italia. E veniamo al vero e proprio punto dolente di questa vicenda.

Com’è facile arguire, il problema, anche in questo caso, è dato dai numeri. Nell’ultimo triennio, la situazione, in costante sofferenza, si può così riassumere: 2021 1.448 arrivi censiti, di cui 1.231 assegnati ad un tutore; 2022 1.836  minori censiti di cui 1.580 assegnati ad un tutore ed, infine, a dicembre 2023, censiti 1.204 minori, di cui 989 assegnati ad un tutore. Come mai restano fuori dal circuito tutoriale circa 200 minori all’anno? Per un banale motivo: a oggi risultano iscritti all’elenco dei tutori del Tribunale per i minorenni 140 persone, di cui poco meno della metà attivi e disponibili. Questo dato significa, senza necessità di ricorrere a particolari voli pindarici e pur tenendo conto che periodicamente ci sono minori che diventano adulti (e quindi escono dal percorso tutoriale), che già oggi è necessario affidare più minori allo stesso tutore e che, nonostante questo, c’è chi non  potrà mai cogliere questa opportunità di aiuto.

Proprio per tale motivo, il Garante regionale dei diritti alla persona, Paolo Pittaro, ha lanciato un recente appello invitando  chiunque interessato a farsi vanti  e facendo presente che dal 28 febbraio inizierà un nuovo corso di formazione per i tutori volontari. Va detto, a chiare lettere e sulla base di quanto riferito dai diretti interessati, che l’esperienza del tutore può essere davvero estremamente gratificante perché, in molti casi, si crea un legame forte e duraturo tra tutore e minore, fatto di affetto sincero, di fiducia reciproca ed anche di profondo riconoscimento, soprattutto quando il minore, uscito dal bozzolo, riesce a conquistarsi una buona fetta di autonomia (a partire da un lavoro e da una propria abitazione) che lo fa sentire, a tutti gli effetti, parte attiva della comunità che lo ha accolto.

Ed in questo contesto è bellissimo sentire esperienze come quella del ragazzino pakistano arrivato qui bisognoso di tutto e che via via ha imparato la lingua, si è iscritto a scuola, ha praticato dello sport e, una volta diventato adulto, è stato  aiutato a trovare anche un lavoro: come segno di riconoscimento verso il suo tutore, ci ha tenuto tantissimo a inviargli una foto della sua prima busta paga sul telefonino! 

Ma casi come questi sono più numerosi di quanto si possa immaginare a conferma che, a far del bene, si finisce anche per raccogliere del bene.  Come dire che se questi ragazzini  (perché di questo stiamo parlando) vengono seguiti, consigliati, indirizzati e, se serve, sgridati, finisce che hanno buone probabilità di diventare buoni adulti, educati e rispettosi verso chi li ha guidati nel loro difficile percorso di crescita, instaurando col proprio tutore un rapporto diretto e stabile che, in alcuni casi, potrebbe ricordare quello tra genitore e figlio. 

Ecco che, a nostro modesto avviso e pur con tutte le cautele del caso, questa “buona prassi” va assolutamente sostenuta e diffusa, proprio nell’ottica di quella integrazione “possibile” che, se avviene già nei confronti di minori, ha migliori possibilità di successo. Serve però che un numero sempre maggiore di “buoni cittadini” sia disposto a mettersi in gioco e, in una città multiculturale come la nostra, speriamo davvero che da qui ai prossimi mesi vi sia una forte risposta all’appello del Garante per trovare, finalmente, tutti i tutori volontari che servono.

Emme Zeta