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Wartsila non firma la proroga di sei mesi, Emme Zeta: "Da recuperare il rapporto tra i governi italiano e finlandese e l'azienda"

 |  Redazione sport  |  Commento del giorno

E’ andata come non sarebbe dovuta andare, ma come, purtroppo, i più avveduti partecipanti al tavolo con Wartsila avevano percepito già da qualche settimana. Dopo sette ore di defatiganti trattative, lo scorso 9 gennaio al tavolo convocato al Ministero delle Imprese e del Made in Italy dalla Finlandia è arrivato il niet definitivo: Wartsila Italia non è stata “autorizzata” a firmare l’accordo (limato sin nelle virgole e sul quale era alla fine intervenuta un’intesa di massima tra le parti) che avrebbe prorogato di sei mesi il contratto di solidarietà per i quasi 300 dipendenti di Bagnoli della Rosandra coinvolti nella decisione di dismettere l’attività produttiva, assunta il 14 luglio 2022 dalla multinazionale finlandese. E ora che succede? Dal punto di vista aziendale le cose sono abbastanza chiare, anche se non ancora definite nella tempistica. Infatti, con una rapidità quasi sospetta, Wartsila Italia ha fatto partire una nota annunciando che “in seguito all’esito negativo dell’incontro al Mimt, ..avvierà l’iter informativo contrattuale, prima di iniziare la procedura relativa alla legge 234 del 2021 (NdR: cessazione dell’attività  produttiva con contestuale presentazione di un piano di mitigazione), invitando le organizzazioni sindacali a discutere della situazione, delle motivazioni della decisione e dell’impatto stimato sui dipendenti. Durante l’intero periodo dell’informativa e della procedura Wartsila Italia è tenuta a pagare integralmente gli stipendi ai dipendenti convolti…e continuerà a sostenere attivamente il processo di reindustrializzazione e a cercare attivamente alternative al licenziamento come parte del piano di mitigazione previsto dalla normativa vigente”.   Siamo in presenza, con tutta evidenza, di una nota predisposta da tempo e che, almeno dal punto di vista formale, rispetta le procedure previste in casi analoghi dalla legge 234/2021, ma, nella sostanza, costituisce, a tutti gli effetti, un punto di ”non ritorno” per tutti gli attori di questa complessa vicenda con una doverosa premessa: non è che, per caso o per precisa volontà, in questo anno mezzo si è assistito unicamente ad una sorta di commedia all’italiana il cui esito finale era ben noto, sin dall’inizio, al capo-comico della compagnia?  Questo sospetto, unito all’altra considerazione che la casa-madre finlandese non ha mai lasciato alcun margine di manovra alla filiale italiana, porta con sé l’ulteriore, amarissima valutazione, ovvero che nessun valore sostanziale può essere attribuito all’impegno, ribadito nella nota richiamata, a “sostenere attivamente il processo di reindustrializzazione”: non l’hanno fatto per un anno e mezzo (non portando al tavolo neanche un’azienda interessata subentrare!), figurarsi se lo faranno adesso!  Chiarito il contesto, che fa trasparire da parte finlandese l’evidente volontà di chiudere quanto prima l’esperienza Bagnoli, cosa si può realisticamente fare per recuperare la situazione?  Mettendo insieme le numerose e accese reazioni dei sindacati, delle categorie e delle istituzioni si possono fissare alcuni precisi paletti, che si spera possano trovare puntuale realizzazione nei mesi a venire.

Partiamo da una prima e ribadita affermazione. Il sito di Bagnoli della Rosandra è – nelle parole del ministro Urso – “strategico per l’intero Paese e non abbiamo intenzione di rinunciarvi: andremo avanti”. Conseguenti le parole del governatore Fedriga “l’impegno proseguirà con uguale determinazione per dare un futuro al sito di Bagnoli. Futuro per cui c’è già in campo Ansaldo Energia e potenzialmente altri investitori…Intanto si andrà avanti con il prossimo incontro sull’Accordo di programma, il 16 gennaio alle 11”. E come saranno d’ora in poi i rapporti con Wartsila?  E’ sempre Urso a parlare “ ..adotteremo tutte le azioni necessarie per recuperare gli incentivi e i contributi statali concessi alla società negli ultimi dieci anni” e nella stessa linea si colloca la chiara affermazione della sottosegretaria Bergamotto “ci confronteremo solo con Wartsila Finlandia, perché il confronto non potrà più avvenire con l’attuale dirigenza italiana, che ha mostrato di non avere alcuna autonomia decisionale”. Dunque, l’irritazione istituzionale è davvero ai massimi livelli, anche perché la sensazione precisa, confermata dall’esito dell’infausto incontro dello scorso 9 gennaio, è che “…la corporation non avesse alcun interesse a trovare una soluzione lasciando alle istituzioni la responsabilità di tutto, compresa la reindustrializzazione del sito..”: questo quanto ribadito dalla stessa Bergamotto, che non ha difficoltà ad ammettere che è allo studio del governo, vista l’esperienza finlandese, un ulteriore inasprimento delle norme anti-delocalizzazione.

E la reazione dei sindacati? Scontata la totale condanna per la posizione della multinazionale finlandese che “nei fatti ha dichiarato il licenziamento dei 300 lavoratori della produzione..” e conseguente la necessità sia di concordare direttamente con i lavoratori di Wartsila ulteriori manifestazioni di protesta, sia di proseguire nel diretto coinvolgimento istituzionale organizzando a tambur battente un incontro sia con l’esecutivo regionale che con i parlamentari eletti in Friuli Venezia Giulia. E’ chiara infatti la necessità di mantenere unito il fronte istituzionale e di percorrere insieme l’impervia strada per arrivare ad una concreta prospettiva di reindustrializzazione del sito. Chiudiamo questa carrellata con tutti i soggetti partecipanti al tavolo coordinato dal Mimit richiamando le parole di Massimiliano Ciarrocchi, direttore di Confindustria Alto Adriatico (peraltro perfettamente in linea con lo sconcerto generale) che ha definito “irresponsabile e immotivato” il comportamento di Wartsila, che così rinuncia a partecipare alla procedura di reindustrializzazione “in modo collaborativo e in un clima sereno”.  In definitiva, Wartsila, dopo un anno e mezzo di tira e molla, ha preso una strada precisa, anche se è lecito dubitare che abbia compreso appieno tutte le conseguenze, di assoluto rilievo, del suo gesto. Sul piano finanziario, infatti, non solo dovrà accollarsi, legge 234 alla mano, tutti gli oneri connessi al pagamento degli stipendi dei circa 300 dipendenti rimasti per un periodo di 8-10 mesi, ma corre il serio rischio di dover procedere alla restituzione, secondo le dure parole di Urso, anche dei contributi statali concessi negli ultimi dieci anni: verrebbe da dire un ”liberi tutti” pagato davvero a caro prezzo! Comunque sia, ora la palla è decisamente nelle mani del Governo e della Regione, istituzioni cui spetta, a nostro modesto avviso, un duplice delicatissimo compito. Il primo: accelerare sull’Accordo Programma definendo, una volta per tutte, tempi, interlocutori  e oneri per una rapida reindustrializzazione di Bagnoli (ad oggi il solo impegno di Ansaldo Energia appare davvero poca cosa sia per la tempistica, sia per le ricadute occupazionali sinora illustrate). Il secondo: va recuperato con immediatezza il rapporto tra Governo italiano, Governo finlandese e Wartsila Finlandia per dare concretezza all’impegno, sinora mai smentito, di mantenere e sviluppare a Trieste (in qualunque location si riterrà la più adatta, ma all’interno del territorio giuliano)  le attività di service e ricerca e sviluppo.  Se per un destino baro, si dovesse scoprire che anche per questo aspetto Wartsila ha messo in campo solo l’ennesima “sceneggiata”, andrebbero in crisi ulteriori 600 posti di lavoro.  Riteniamo quest’ultimo un rischio che una realtà produttiva estremamente fragile come quella triestina non si può certo permettere di correre e riteniamo, anzi, che  vi debba essere assoluta consapevolezza (peraltro già evidenziata dalle organizzazioni sindacali) che questa “trincea” rappresenta davvero l’ultimo avamposto non valicabile dell’intricata vicenda. Ne va dell’ultimo spicciolo di credibilità di Wartsila ma, soprattutto,  di una fetta importante del futuro produttivo dell’economia giuliana.

Emme Zeta