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Nella crisi Wartsila esce Mitsubishi e resta Ansaldo. Emme Zeta: "Doverosa un'azione pressante di Rosolen"

 |  Redazione sport  |  Commento del giorno

Fiumi di inchiostro, cortei, scioperi, tavoli romani e locali e, alla fine, cosa resta? A voler essere molto ottimisti, la conferma di Ansaldo, le commesse di Fincantieri e un futuribile (ancora tutto da scrivere) Accordo di Programma che dovrebbe servire a delineare il futuro dello stabilimento di Bagnoli della Rosandra. Il tutto avviene dopo la decisone, assunta oramai quasi un anno e mezza fa’, dalla multinazionale finlandese Wartsila di chiudere lo storico stabilimento di produzione giuliano. A fronte di queste, poche ed incerte, notizie positive, che ne sarà dei 300 lavoratori di Wartsila Italia il cui contratto di solidarietà scade, salvo proroghe dell’ultima ora, il prossimo 31 dicembre?   A questa, delicatissima, domanda non c’è, allo stato, risposta. Le uniche certezze, dopo il fallimentare tavolo romano dello scorso 30 novembre, sono gli ulteriori appuntamenti in agenda: l’11 dicembre tra Ministero delle imprese, del Lavoro, Regione, Enti locali, Autorità portuale, Wartsila, Fincantieri, Ansaldo e Confindustria per la stesura dell’Accordo di programma che avrà la finalità di “integrare le vocazioni industriali e logistiche,  impegnare Wartsila sugli oneri per la reindustrializzazione, chiarire  piani industriali e preparare il terreno a possibili cambi di destinazione”; il 19 dicembre a Roma ennesimo incontro del “tavolo di crisi” con l’obiettivo, per nulla scontato, di premere su Wartsila per estendere il contratto di solidarietà fino alla fine estate 2024. Com’è facile arguire, sia pure giunti quasi al 90° minuto, sono entrambi appuntamenti fondamentali per capire quale sarà l’esito di questa drammatica crisi del comparto produttivo locale con la pesante incognita che, se qualcosa dovesse malauguratamente andare storta, l’alternativa per la multinazionale finlandese sarebbe quella di riaprire la procedura di licenziamento con un  indubbio aggravio di costi per l’impresa (tenuta, per legge, a pagare gli stipendi per intero per 18 mesi), ma anche con il nefasto esito di ritrovarsi con 300 disoccupati in più (e relative famiglie) da gestire in un contesto economico locale che, oramai da anni, vede il peso dell’industria ridotto oramai ai minimi termini.

Come si è giunti a questo, triste, risultato?  Il percorso è stato lungo e tortuoso ma, dopo che la gestione della crisi era passata quest’estate direttamente nelle mani del governo,  vi era (almeno fino al 30 novembre scorso) la fondata speranza che la cordata Ansaldo-Mistubishi (per quanto mai uscita ufficialmente allo scoperto) fosse in grado di fornire davvero, con le prospettive legate alla produzione dell’idrogeno, una concreta alternativa alle sorti produttive dello stabilimento di Bagnoli. Purtroppo, come comunicato dalla società giapponese, “l’investimento è temporaneamente sospeso, avendo incontrato implicazioni organizzative diverse dallo scenario considerato all’inizio dello studio”.   Parole sibilline, non c’è dubbio, che, lette tra le righe, fanno trasparire l’indisponibilità del colosso giapponese di affrontare l’impresa con l’obbligo di assorbire tutti gli esuberi di Wartsila. E ora? Come già detto, resta Ansaldo la cui proposta imprenditoriale, senza la gamba giapponese, non si capisce bene che consistenza abbia e resta l’impegno, commerciale, di Fincantieri che, sulla base di quanto trapelato, dovrebbe articolarsi su tre aspetti: il primo inerente l’aggiornamento dei motori a 4 tempi di un centinaio di navi da crociera con l’installazione di un kit per l’impiego di metanolo con l’utilizzo di personale Wartsila, oltre ad eventuali altre implementazioni degli apparati di bordo in termini di digitalizzazione e attrezzature antincendio con la finalità di dare gambe al piano 2023-25 di Wartsila per le attività di service, ricerca e sviluppo; il secondo riguarda l’interesse all’acquisto di celle a combustibile a idrogeno che dovessero entrare nella produzione Ansaldo-Mistubishi; il terzo, infine, riguarda la possibilità di procedere a 90 assunzioni dirette, in base alle competenze e senza corsie preferenziali, con logiche di mercato e non di salvataggio pubblico.

Soddisfatti? Mah, viste le premesse e le promesse, perplessi, più che altro. In questo senso, ci accodiamo  alle ulteriori manifestazioni di protesta annunciate dai sindacati dopo l’infausto incontro romano dello scorso 30 novembre: ulteriori scioperi e presidi ci stanno tutti, come ci sta tutta una, doverosa, azione di pressing sui parlamentari ed esponenti governativi regionali.

A questo proposito, anche a testimonianza del livello di esasperazione raggiunto dai rappresentanti sindacali, merita riproporre il forte appello lanciato dal rappresentante della Rsu Fabio Kanidisek “vanno chiamati alla responsabilità i parlamentari, che abbiamo già incontrato due volte. E si svegli in particolare la sottosegretaria Sandra Savino, che siede al ministero dell’Economia: non abbiamo mai sentito risposte da una triestina come lei e allora che ci sta a fare al governo?“    

Mentre un po’ tutti i parlamentari  interessati hanno risposto positivamente all’appello, decisamente piccata la risposta della sottosegretaria al ministero dell’Economia che si dice “sorpresa: comprendo l’amarezza e la preoccupazione di tutti i lavoratori, ma desidero assicurare che, se fossi stata interpellata, non mi sarei sottratta al dialogo. La mia dedizione e impegno al servizio della comunità, a partire da Trieste, sono costanti”.

Tuttavia la Savino ci tiene a precisare che “il mio ruolo al Mef non include la gestione delle crisi d’impresa, poiché ricadono nell’ambito di competenza del ministero delle Imprese, che se ne sta occupando”. 

Cara ex-onorevole, due appunti al suo ragionamento. Il primo: per sentirsi coinvolta in una vicenda talmente rilevante come la crisi di Wartsila non occorre certo “essere interpellati”, ma, a nostro modesto avviso, occorre muoversi direttamente ed in prima persona se, come correttamente affermato, si sta al governo per servire, in primo luogo, gli interessi della propria comunità. 

Il secondo:  il “giochetto” di scaricare al Mimt ogni responsabilità sulla gestione della crisi appare, francamente, risibile. Nessuno le chiede miracoli!  Però un’azione pressante e continua di interessamento, come quella posta in essere in tutta questa vicenda dall’assessore regionale al Lavoro Rosolen, ci pare assolutamente doverosa, come ci è parso doveroso che il sindacato ne abbia, polemicamente, evidenziato la sua totale assenza, almeno sino ad ora.  Come si dice in casi del genere, alla prossima e speriamo di vedere, finalmente, una luce in fondo al tunnel.

Emme Zeta  

Parole chiave: Trieste