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Al Museo Revoltella di Trieste presentata la mostra su “Antonio Ligabue”, un’antologica con oltre 60 opere allestita dall’8 novembre al 18 febbraio 2024

La mostra su “Antonio Ligabue”, un’antologica con oltre 60 opere allestita dall’8 novembre al 18 febbraio 2024 al Museo Revoltella e promossa da Comune di Trieste – Assessorato alle Politiche della Cultura e del Turismo - Museo Revoltella, prodotta e organizzata da Arthemisia in collaborazione con Comune di Gualtieri, Fondazione Museo Antonio Li...
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La mostra su “Antonio Ligabue”, un’antologica con oltre 60 opere allestita dall’8 novembre al 18 febbraio 2024 al Museo Revoltella e promossa da Comune di Trieste – Assessorato alle Politiche della Cultura e del Turismo - Museo Revoltella, prodotta e organizzata da Arthemisia in collaborazione con Comune di Gualtieri, Fondazione Museo Antonio Ligabue, con il supporto di Trieste Convention and Visitors Bureau PromoTurismo FVG, è stata presentata oggi (martedì 7 novembre) nel corso di una conferenza stampa introdotta dall’Assessore comunale alle Politiche della Cultura e del Turismo, Giorgio Rossi alla presenza di Iole Siena, presidente di Arthemisia e dei curatori della mostra, Francesco Negri e Francesca Villanti.

Oltre 60 opere tra oli, disegni e sculture saranno protagoniste dall’8 novembre fino al 18 febbraio 2024, al Museo Revoltella, della prima mostra antologica dedicata ad Antonio Ligabue in Friuli Venezia Giulia: il racconto della vita e dell’opera di un uomo che ha fatto della sua arte il riscatto della sua stessa esistenza.

Antonio Ligabue, uno degli artisti italiani più umani e commoventi del Novecento, con la sua vita così travagliata, escluso dal resto della sua gente, legato visceralmente al mondo naturale e animale e lontano dal giudizio altrui, riuscì a imprimere sulla tela il suo genio creativo; un uomo, talmente folle e unico, che con la sua asprezza espressionista riesce ancora oggi a penetrare nelle anime di chi ammira le sue opere.

Con le sue pennellate così corpose, sfuggenti e cariche di sentimenti ardenti, Antonio Ligabue - con i paesaggi, i galli, le fiere e gli intensi e numerosi autoritratti – ha dipinto l’esperienza originaria dell’uomo; la sua arte porta in sé la visione di una forza interiore, la dimensione della memoria.

Artista visionario, autodidatta e sfortunato, entrò nell’animo del grande pubblico perché capace di parlare con immediatezza e genuinità a tutti, a chi ha gli strumenti per capirne il valore storico-artistico, così come a chi semplicemente gode della bellezza assoluta delle sue opere.

“A conclusione di una stagione estiva ricca di manifestazioni culturali e di iniziative artistiche che hanno animato con grande profitto e notevole riscontro di visitatori le nostre numerose istituzioni museali e la nostra città – ha dichiarato l’Assessore alle Politiche della Cultura e del Turismo, Giorgio Rossi - non si poteva non accogliere con entusiasmo la proposta della mostra dedicata ad Antonio Ligabue. Siamo certi che la storia e l’opera di questo straordinario maestro del Novecento, che ha saputo contrapporre al dolore e al profondo disagio interiore il coraggio e la forza del suo linguaggio artistico, davvero unico e inconfondibile nella sua tormentata espressività, non mancheranno di emozionare e sorprendere il nostro pubblico. Dopo le mostre dedicate ai grandi movimenti artistici internazionali dell’Impressionismo e dei Macchiaioli, Trieste offre a tutti, con la mostra di Ligabue, una rinnovata occasione di conoscenza e approfondimento artistico e umano, che ci porta a riflettere sulla inesauribile capacità comunicativa, intensa e infinitamente variabile, dell’espressione artistica. Si tratta di una mostra che ho fortemente desiderato e che finalmente, dopo un paio d’anni, siamo riusciti a realizzare e che fa parte di un più vasto ciclo di esposizioni che ha valorizzato il museo e che è nato per dare la possibilità non solo ai triestini, ma anche ai tantissimi turisti che visitano la città, di vivere un’esperienza con artisti che altrimenti vedrebbero solo in tv nei documentari o sui libri; un percorso che ho inteso fare e che mira molto in alto”.

“Il rapporto tra Arthemisia e Trieste – ha spiegato la presidente di Arthemisia, Iole Siena - è molto solido ed è un rapporto a cui tengo particolarmente, perché quando abbiamo iniziato questa avventura, ormai 5 o 6 anni fa, lo abbiamo fatto nell’incredulità generale, quando nessuno scommetteva su Trieste per portare mostre importanti. Con una mostra sul mondo Lego che ha dato subito risultati incredibili con 50mila visitatori abbiamo iniziato un cammino proseguito con Escher e I Macchiaioli e questo mi rende particolarmente orgogliosa, perché ritengo che abbiamo fatto un lavoro incredibile insieme. Trieste oggi è considerata infatti uno dei punti di riferimento per le grandi nostre d’arte. Ringrazio l’Assessore e l’Amministrazione comunale che hanno creduto in noi”.

“In mostra – ha affermato la curatrice Francesca Villanti - vedremo tante opere straordinarie: è una mostra completa, una mostra monografica che ci fa entrare nel mondo di Ligabue, nelle sue fiere, nei suoi autoritratti e ci consente di conoscere appieno quell’artista straordinario che ha avuto un grande successo soprattutto negli anni Settanta grazie allo sceneggiato televisivo che però ne ha un po’ offuscato la grandezza di artista rispetto al personaggio. Quello che intendiamo fare è cercare di restituire la dignità all’artista. Abbiamo realizzato una mostra pensata proprio per Trieste e per questo spazio, per raccontare un artista passando attraverso le sue opere. Vogliamo che a parlare siano le sue opere, che hanno la grande capacità di penetrare l’anima e nutrire la fantasia”.

“Mi unisco ai ringraziamenti all’Assessore e al Comune di Trieste – ha dichiarato il curatore Francesco Negri -: quella che ci ospita è una struttura prestigiosa che farebbe felice Ligabue, che da lassù ci sta guardando e sta finalmente ricevendo qualcosa in cambio dopo una vita in cui ha sempre più dato che ricevuto”.

Francesco Negri si è addentrato quindi nei dettagli sulla mostra.

Nel 1975 in occasione della prima grande antologica, suo padre, Sergio Negri, uno dei maggiori esperti di Ligabue, adotta in maniera definitiva la ripartizione in tre periodi dell’opera di Antonio Ligabue”.

Primo periodo: 1927-1939 Le opere di questi anni sono ancora sgrammaticate, risentono di qualche incertezza tecnica e coloristica che però Ligabue riesce mirabilmente a superare grazie all’istintiva capacità narrativa.  

Nel secondo periodo, che va dal 1939 al 1952, la pittura di Ligabue si impadronisce dei segreti del colore e della linea. Egli inizia a strutturare forme sempre più complesse arrivando a riprodurre il movimento e l’azione, rendendo la narrazione più reale. I toni cromatici diventano più caldi e la materia pittorica acquisisce spessore. Il colore diventa lo strumento linguistico determinato anche dall’abitudine di Ligabue di non iniziare la composizione da un disegno preparatorio, preferendo dipingere senza esitazioni e senza seguire una traccia.

Nel terzo periodo (1952-1962) anche le fiere, già stilisticamente avanzate, acquisiscono una cura per il dettaglio che psi potrebbe paragonare a quella dei dipinti fiamminghi.

Le angosce che percorrono la sua mente esplodono nell’aggressività degli animali e la loro impietosa lotta per la sopravvivenza. Punte quasi ossessive sono evidenti nella rielaborazione continua dello stesso esasperato tema iconografico. È il periodo più prolifico. È densa, in quest'ultimo periodo la produzione di autoritratti, diversificati a seconda degli stati d'animo vissuti al momento dell'esecuzione ma tuttavia sempre pervasi da un’incontenibile tristezza.“Ligabue non può non sorprendere, non sgomentare, e non convincere con lo spettacolo sbalorditivo di questa sua tenebrosa violenza e magica perizia di pittore che sa darci in un unico impasto l’ordine e il disordine dell’uomo nel creato”.
È così che il critico Giancarlo Vigorelli descrive Ligabue in occasione della mostra alla Galleria Barcaccia di Roma nel 1961.

Segnato da una vita tormentata, visse un’inquietudine inesorabile, un disadattamento personale che riesce a superare solo dipingendo, una fuga dall’inferno di una realtà che non lo accoglie mai mai e lui stesso non comprende, si sente escluso da una società creata dagli uomini, vive una solitudine senza appigli che scongiura solo attraverso la pittura.

L’arte entra nella vita di Ligabue a partire dall’infanzia, come lenitivo per uno stato di disagio e di dolore profondo, un balsamo per alleviare la drammaticità della sua condizione umana.

Per Ligabue l’unico rifugio diventa il colore: più l’anima è straziata, più i colori diventano brillanti il suo animo soffocato dal dolore si libera dagli incubi che ha dentro creando dei capolavori.

Non stupisce dunque che il pittore sente la necessità di riprodurre la propria immagine più volte, come a voler dare prova della loro esistenza, un tentativo estremo di allontanare la condizione di esasperata emarginazione, una muta preghiera di essere guardato.

I soggetti sono spesso ripetuti più e più volte ma, come scrive Marzio Dall’Acqua, rappresentano i fermo immagine di un unico racconto: “molte opere sembrano uguali, si pensi ai pollai o alle lotte di galli apparentemente tutti uguali, che costituiscono invece un’interminabile sequenza di uno scontro che non ha fine e proprio per questo diviene più angoscioso, più alienante anche per chi guarda le opere”.

Una storia umana e artistica straordinaria e unica, che negli anni ha appassionato migliaia di persone, tanto da essere diventato addirittura protagonista di film e sceneggiati televisivi, sin dagli anni ’70.
Memorabile lo sceneggiato RAI di Salvatore Nocita del 1977 con Flavio Bucci, così come il recente film “Volevo nascondermi” del 2020 di Giorgio Diritti con la magistrale interpretazione di Elio Germano.

Tutto questo è raccontato perfettamente in un percorso cronologico, curato da Francesco Negri e Francesca Villanti.

Seguendo una ripartizione cronologica, sono narrate le diverse tappe dell’opera dell’artista a partire dal primo periodo (1927-1939), quando i colori sono ancora molto tenui e diluiti, i temi sono legati alla vita agreste e le scene con animali feroci in atteggiamenti non eccessivamente aggressivi; pochissimi gli autoritratti.
Il secondo periodo (1939-1952) è segnato dalla scoperta della materia grassa e corposa e da una rifinitura analitica di tutta la rappresentazione.
Il terzo periodo (1952-1962) è la fase più prolifica in cui il segno diventa vigoroso e continuo, al punto da stagliare nettamente l’immagine rispetto al resto della scena. È densa in quest’ultimo periodo la produzione di autoritratti, diversificati a seconda degli stati d’animo.

Parole chiave: Trieste