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"Uomini illustri" da Trieste al mondo

Ci sono opere letterarie che segnano l’identità di un’epoca e che poi, nel corso dei secoli, finiscono nell’oblio, al punto che la ricostruzione delle loro vicende diventa una vera e propria indagine: notizie contraddittorie, indizi frammentari, tracce di verità confuse nella polvere del tempo. È questo il caso del Libro degli homini famosi...
 |  Francesco Tremul  |  Cultura

Ci sono opere letterarie che segnano l’identità di un’epoca e che poi, nel corso dei secoli, finiscono nell’oblio, al punto che la ricostruzione delle loro vicende diventa una vera e propria indagine: notizie contraddittorie, indizi frammentari, tracce di verità confuse nella polvere del tempo. È questo il caso del Libro degli homini famosi, traduzione in volgare di un’opera latina di Francesco Petrarca: il De viris illustribus, ampia galleria storiografica rimasta incompiuta. Dopo decenni di lavoro, con fasi di attività frenetica alternate a lunghe pause di ripensamento, abbandono e persino abiura, Petrarca lasciò infatti ai due curatori testamentari un’eredità difficile da gestire; dallo studiolo dell’autore uscirono quindi materiali di ogni sorta,alcuni conclusi, altri non revisionati, altri ancora appena abbozzati o ripudiati in vita dallo stesso Petrarca (tant’è che oggi conosciamo ben tre versioni diverse della vita di Scipione l’Africano). Finché,pochi anni dopo,sul mercato librario apparve proprio il Libro degli homini famosi: 35 biografie di grandi uomini dell’antichità, da Romolo all’imperatore Traiano, composte in una veste molto più precisa e univoca rispetto alla frammentaria opera latina. Facile la deduzione dei lettori contemporanei: il Libro degli homini famosi fu considerato il testo ‘definitivo’ di Petrarca, scritto in volgare (come il Canzoniere) e finalmente riemerso dalle carte del poeta;il De viris illustribus, invece,fu derubricato a bozza preparatoria, scritta nella lingua di lavoro degli eruditi. A quel punto la strada era segnata: mentre i testi latini sparirono dalla memoria collettiva, il Libro degli homini famosi iniziò la sua marcia trionfale, in Italia e in Europa. Decine, forse centinaia di manoscritti dell’opera furono copiati e venduti per soddisfare la sete di conoscenza delle nuovi classi dirigenti (mercanti, artigiani, ma anche signorotti locali poco avvezzi agli studi universitari), felici di avere nella biblioteca di casa un volume storiografico «del Petrarca».Eppure quasi nessuno, almeno fino all’Ottocento, ebbe contezza di un equivoco: il volgarizzamento non era affatto di Petrarca, bensì del grammatico aretino Donato degli Albanzani, attivo alla corte estense di Ferrara dal 1382 al 1411.

Queste e altre vicende costituiscono soltanto il capitolo introduttivo dell’ampio volume di Vanni Veronesi intitolato Il De viris illustribus di Petrarca volgarizzato da Donato degli Albanzani: catalogo dei manoscritti e appunti per una nuova edizione (EUT 2021), che verrà presentato giovedì 5 maggio, alle ore 17.30, presso la Sala Bazlen di Palazzo Gopcevich, in via Rossini 4 a Trieste: dialogheranno con l’Autore i professori Lucio Cristante e Fabio Romanini. La pubblicazione è frutto dell’attività svolta da Veronesi (laureato in Lettere classiche a Trieste, addottorato in Filologia greca e latina a Ca’ Foscari e diplomato in Paleografia greca alla Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica) nell’ambito di un assegno di ricerca finanziato dalla Regione FVG e svolto in convenzione tra l’Università e il Comune di Trieste, presso il Museo Petrarchesco Piccolomineo da novembre 2019 a ottobre 2020.Scopo del lavoro era appunto la valorizzazione del patrimonio manoscritto della Biblioteca civica, che dell’opera di Albanzani conserva ben tre esemplari, e il confronto con i codici delle altre biblioteche italiane ed europee. Ma la ricerca, come sottolinea lo studioso, «è letteralmente esplosa: rispetto al censimento effettuato dall’erudito triestino Domenico Rossetti, che nel 1828diede notizia di 22 codici (più altri 2 scomparsi già all’epoca), la tradizione di Albanzani si è dimostrata molto più ampia, arrivando a contare 45 testimoni, sparsi fra Italia, Città del Vaticano, Francia, Spagna, Inghilterra, Germania, Polonia, Svezia e Stati Uniti, più altri 5 perduti ma comunque noti dalle fonti».

Dopo l’esame dei tre codici di Trieste e i primi viaggi a Firenze, Arezzo, Parma e Cesena(dicembre 2019 - gennaio 2020), la pandemia da Covid-19 ha arrestato le ricerche per qualche mese: la disamina di due manoscritti reperibili online (conservati a Madrid e Wroclaw) ha però anticipato la breve parentesi estiva fra i due lockdown, che ha consentito alcuni spostamenti a Padova, Treviso, Torino, Roma e Napoli. L’assegno è arrivato a scadenza naturale il 30 ottobre 2020, ma «a quel punto non ho avuto dubbi: ho proseguito la ricerca a mie spese, con passione e divertimento». E così, con il lentissimo ritorno alla normalità nel 2021, il lavoro è ripartito: «prima ho ottenuto le digitalizzazioni dei codici conservati nelle biblioteche di Parigi, Darmstadt e New York, finalmente riaperte dopo mesi di chiusura; poi ho potuto contare sull’aiuto del professor Michele Colombo, che ha visionato per me un manoscritto a Stoccolma; quindimi sono rimesso in moto fra Venezia e il Vaticano». E infine, a ottobre 2021, la chiusura del cerchio: un viaggio di cinque giorni fra Oxford e Siviglia per i tre manoscritti rimanenti.

Messi assieme gli ultimi dati, il volume è finalmente uscito a dicembre 2021.La monografia,liberamente consultabile e scaricabile online dal sito internet della casa editrice, in oltre 500 pagine fittissime di notizie descrive per la prima volta tutti i testimoni manoscritti del volgarizzamento di Albanzani, esaminati de visu. I risultati sono sorprendenti: una ricostruzione completa di tutte le vicende editoriali e le complesse questioni filologiche legate all’opera; una nuova datazione (fra 1382 e 1388), anticipata di un decennio rispetto alla concorde opinione della critica (basata su un equivoco durato secoli), e addirittura un altro committente; il ruolo centrale di Rossetti e della stessa collezione triestina nella storia degli studi; la riemersione di manoscritti che si ritenevano perduti; la scoperta di altri testi mai recensiti dagli studiosi; l’attribuzione di alcuni manoscritti a proprietari di altissimo profilo, fra i quali Elisa Bonaparte, sorella di Napoleone. Emerge, soprattutto, la necessità di una nuova edizione dell’opera, considerato che l’ultima (assai discutibile nel metodo) risale al 1874: per questo Veronesi conclude la ricerca con alcune prospettive di indagine futura. Seguono otto tavole a colori, con alcune splendide miniature tratte dai manoscritti catalogati; chiudono il volume la bibliografia consultata (davvero vastissima) e una serie di indici analitici a beneficio del lettore.

Parole chiave: Trieste