"I miei colpi di testa", presentato anche a Trieste il libro dell'ex calciatore Aldo Serena
Aldo Serena ha fatto scalo anche a Trieste per presentare il suo libro “I miei colpi di testa” in collaborazione col giornalista Franco Vanni e pubblicato da Baldini + Castoldi. L’ex punta montebellunese ha affermato: “Le mie tre parole fondamentali da giocatore erano ricordare, ascoltare ed osservare e cioè ricordare da dove venivo, ascoltare i consigli degli altri e osservare come si allenavano gli altri. Dagli 8 ai 18 anni andavo a scuola di mattina e a lavorare di pomeriggio nella fabbrica di mio zio, dove era impiegato anche mio papà. E di sera mi allenavo con i più grandi della mia società e non con i miei pari-età causa orari da conciliare. Ed avevo una buona aggressività in campo, perché dovevo sfogarmi pur essendo di base tranquillo. Però tra scuola e lavoro, a un certo punto, non ce la facevo più, non vedevo l’ora di finire di vivere quella quotidianità e perciò dovevo sfogarmi. Ho cambiato varie squadre, perché l’Inter mi dava in prestito e io dovevo sempre dimostrare il mio valore e il mio carattere, non era facile e ci dovevo mettere qualcosa in più. E tra l’altro dovevo dare per avere in cambio qualcosa come i cross. Perciò, essendo generoso, correvo e se c’era da darle con un difensore rude come Sergio Brio ad esempio, lo facevo. A 24 anni dovevo andare all’Udinese, mi chiamò Franco Dal Cin per dirmi che era tutto fatto, ma io avevo deciso di partire militare una volta finita l’università e non volevo andarci, volevo il Torino perché mister Radice mi chiamava e mi corteggiava…E non fu neanche semplice passare dal Toro alla Juve, i tifosi granata non la presero bene e – seppure a distanza di molto tempo - qualche anno fa, in occasione di una partita del Torino che dovevo commentare, trovai circa 200 tifosi fuori dalla Maratona e quando mi riconobbero, dovetti darmela a gambe levate e salvarmi in zona-celerini. Michel Platini era di una classe pazzesca e Nicola Berti mi ha conquistato alla lunga con la leggerezza con cui vede il calcio, ma all’inizio non mi piaceva troppo per la sua esuberanza e poi, a un certo punto, non ne volevo sapere più di lui, perché arrivava sempre in ritardo quando gli facevo da autista all’Inter. E poi….”.