Bruno Gasperutti rivede la Serie A, dal presente malinconico di Trieste alla futuristica Udine

Metti che la mia squadra abbia già giocato e vinto a Vercelli al sabato, metti che il mio adorato nipotino sia in montagna e non venga a farmi compagnia come ogni domenica, ed ecco che invece di impigrirmi sul divano, accolga il gradito invito del mio amico Massimo, per recarmi nella vicina Udine a vedere la Serie A.
Il mio primo pensiero è corso al lontano 15 marzo 1959, quando con mio padre su una scassata giardinetta di un amico piena zeppa di non so quanti altri tifosi, mi sono recato a Udine, ben disteso nel bagagliaio posteriore dove si posizionava generalmente il cane, a vedere un Udinese-Triestina, ahimè ultimo derby disputato dai rossoalabardati in Serie A. Era allora il vecchio Moretti storico stadio di Udine, dove quando entravi cercavi la macchia rossa dei tifosi triestini per unirti a loro a tifare; non esistevano le curve blindate, non si faceva il tifo contro qualcuno ma per la propria squadra, era un calcio diverso, ruspante, probabilmente più vero e sentito, dove ti ritrovavi a discutere vivacemente su un episodio con il vicino friulano, senza necessariamente alzare le mani. Che nostalgia per quella mia prima e unica trasferta con la Triestina in Serie A, poi ne avrei viste ancora un paio in B sempre al vecchio Moretti, invece stavolta stavo andando al nuovissimo e rinnovato Bluenergy che non avevo mai visto dal vivo.
Un frettoloso panino e via verso Udine, un percorso oggi comodo e breve un’oretta giù di lì, mentre un tempo per le strade provinciali e incolonnati tra una moltitudine di vetture private imbandierate, impiegavi almeno il doppio del tempo. Usciti dall’autostrada e nel raggio perimetrale dello stadio, la prima impressione è quella di essere casualmente entrati nella striscia di Gaza, camionette e polizia in assetto di guerra, pronti ad entrare in azione, ma quanti ce ne saranno? Ma quanto può costare alla comunità un simile spiegamento di forze, per un semplice Udinese-Empoli, una partita per me non di cartello, anche se mi hanno poi spiegato che lo scorso campionato ci sono stati degli spiacevoli tafferugli tra la tifoseria ospite e le stesse forze dell’ordine. Però immediatamente quel primo approccio inquietante è fugato dall’organizzazione squisita e impeccabile degli addetti preposti al servizio accoglienza. Certo mi sono recato allo stadio nel settore riservato alla stampa, da privilegiato, ma attorno ho trovato tanta gentilezza e disponibilità che fa presupporre che anche negli altri settori dello stadio ci sia eguale ordinata accoglienza.
Lo stadio è bellissimo, un gioiello, più piccolo e meno imponente del nostro Rocco, non amo magari i sedili colorati arlecchineschi e preferisco di gran lunga i nostri biancorossi e penso che probabilmente sarebbe stato più adeguato imitare quelli bianconeri dell’Allianz Stadium di Torino ma tant’è, resto affascinato dalla bellezza dell’impianto friulano.
Manca un’oretta e mezza all’inizio gara e mi reco nella saletta dove si tengono le interviste post gara e che funge anche da zona ristoro. Intanto non posso nuovamente non notare il servizio impeccabile svolto da un gran numero di hostess, tutte gentilissime, disponibili, alte e anche molto carine (il chè non guasta), che ti indirizzano e assistono, davanti un buffet pre-gara che va dalle tartine agli affettati, ai paninetti, fino a dei tranci di pizza fumanti e al pasticcio. Si discorre con giornalisti importanti, ex calciatori, personaggi che hai imparato a conoscere nei programmi tv, nell’attesa di ritornare al posto che ti hanno assegnato per assistere alla partita.
Dall’alto della vetrata al quarto piano della tribuna, se rivolgi lo sguardo all’esterno dello stadio, non puoi non notare una serie di campi di calcio, tutti regolari erbosi, dove si allenano giornalmente i bianconeri e le loro squadre giovanili. Ce ne sono ben 5 e fai un triste paragone con la situazione della nostra squadra costretta ad allenarsi, ultimamente almeno al vicino Grezar a dispetto di spiacevoli querelle per l’utilizzo in orari da negoziare con l’atletica, mentre le giovanili sono costrette a chiedere ospitalità a qualche società provinciale, fino a poco tempo fa magari in coabitazione con altri, ridotti su una metà campo. Se posso fare un confronto: noi viviamo nella preistoria, mentre qui ci troviamo su un altro pianeta nel futuro. Altro che metterci orgogliosamente a confronto con Udine e rivendicare la nostra storia, purtroppo è il passato, il presente è malinconico e difficile da metabolizzare. La postazione in tribuna stampa è anche quella sontuosa e a dispetto di sedili un po’ scomodi, hai a disposizione tavolo lavoro, luce personale, una serie di prese a cui attaccare i tuoi arnesi informatici, mentre nel piano inferiore, i “vip” sono addirittura forniti di una tv personale, per rivedere gli episodi controversi.
Poi…. c’è la partita. Una bella partita, pur disputata tra due provinciali che però giocano un ottimo calcio, a viso aperto senza tatticismi. La differenza con la Serie C a cui sono abituato almeno dal vivo, sta nella tecnica individuale dei protagonisti, la trovi nei loro gesti naturali con cui trattano il pallone, il gioco scorre fluido con pochissimi errori e, almeno in questa occasione, con velocissimi ribaltamenti di fronte, non appena viene conquistato il pallone. Le occasioni sono fioccate e il risultato finale è stato molto penalizzante per i toscani dell’Empoli, che avrebbero meritato almeno di non subire un umiliante 3-0. Ho visto un grandissimo giocatore dal vivo che si è elevato per tecnica nel pur ottimo contesto generale: Florian Thauvin, tocca il pallone divinamente e ogni suo gesto è di una sagacia ed eleganza mirabile.
Lo stadio non era zeppo, anzi, molti i vuoti forse perché la partita non era di primo livello, probabilmente i friulani si sono oramai assuefatti alla Serie A che frequentano dal 1995 in poi. Dei consueti 25000, ossia il sold-out, delle sfide più importanti, stavolta ce n’erano comunque quasi 20000. Pochi i tifosi toscani presenti nella curva a loro riservata, forse 200, che hanno inutilmente tentato di trovare il nemico da offendere con cui venire allo scontro almeno verbale, insultando ripetutamente la città che li ospitava, ma sono stati ignorati dalla ben più numerosa curva bianconera, che lasciando per una domenica in pace i triestini, hanno trovato il loro nemico, rivolgendo le attenzioni verbali sui veneziani, che evidentemente in questo momento sono i nemici giurati. E’ una bizzarra abitudine questa di tutte le curve italiane, che individuano il nemico da offendere cercando lo scontro in ogni gara, a cui non riesco ad assuefarmi ma che evidentemente se lo fanno tutti, devo farmene una ragione e deve far parte della modernità dei costumi.
A fine partita eccoci di nuovo in sala stampa a sentire i protagonisti con nuovo buffet a disposizione, questa volta con anche torta e pasticcini; penso: ma quanto costerà tutta questa sublime organizzazione, sempre mettendola a confronto con le ristrettezze cui sono soggette quasi tutte le squadre provinciali nelle serie minori, che falliscono ogni anno impossibilitate a proseguire una normale attività senza eccessi. Dopo aver ascoltato i frettolosi commenti di routine degli allenatori, in tedesco da parte del tecnico bianconero Runjaic, con il prezioso conforto degli auricolari con traduzione simultanea, messi a disposizione dall’impeccabile organizzazione udinese, e di un paio di giocatori, siamo ritornati nella nostra bella città.
E’ stata una bella esperienza che mi ha dato modo di comprendere la differenza tra il mio mondo (Triestina-Serie C) e quello al di là delle foci del Timavo, purtroppo ne abbiamo di strada da fare, noi siamo rimasti agli albori del calcio, quello romantico, che per noi è finito nel 1959 dopo la retrocessione dalla Serie A. Il colpo è stato duro e non ci siamo ancora ripresi da quel ko, di strada ne abbiamo tanta da fare purtroppo, da noi è attuale il proverbio: “meglio un uovo oggi che una gallina domani”, quando invece bisognerebbe lavorare più in profondità nel tempo, per avere non una gallina domani, ma un intero pollaio.
BRUNO GASPERUTTI

