Tra "fuochi" e sentenze inutili: ma è davvero solo questa l'unica risposta possibile al fenomeno dell'immigrazione clandestina?
Forse qualcuno di voi, letto il titolo, si girerà dall’altra parte e passerà a leggere qualcos’altro, dal suo punto di vista, decisamente più interessante. Ma basta: ancora con questi migranti!! Eh sì, lo ammetto: sono proprio recidivo. E’ un argomento troppo scottante, a mio avviso, per non curarsene ancora in un’ottica che non ha la pretesa di essere universale, ma solo locale. Come dire che le recenti strette governative sulle Ong per i salvataggi via mare (pur rilevantissime anche a livello europeo e oggetto, a quanto consta, di parecchie critiche anche da parte di autorevoli esponenti non solo italiani), non saranno oggetto di analisi che si limiterà a prendere in considerazione principalmente quanto accade nelle nostre lande del Nord Est. La cronaca, infatti, ci fornisce costantemente parecchi spunti di riflessione, tutti relativi alla cosiddetta rotta balcanica, che i migranti, soprattutto di origine asiatica, percorrono in ogni condizione climatica alla ricerca del “paradiso in terra”. Di fatto, quel paradiso non c’è e ciò che trovano lascia noi (e speriamo davvero di non essere soli) parecchio perplessi. Leggiamo, infatti, dalla cronaca cittadina che i migranti, sfrattati da Piazza Libertà (oramai ridotta ad una spianata desolante e desolata causa abbattimento della Tripcovich per preciso ordine del Borgomastro) si sono, come dire, “allungati” verso Porto Vecchio, ovvero nella zona del terrapieno, gergalmente definita “dioxina bay” ! Lo segnala, con dovizia di particolari e con un sentimento di genuina preoccupazione, il consigliere comunale della Lista Dipiazza Dell’Agata che, testualmente, dalla sua casa barcolana ha più volte scorto i falò accesi dai migranti che, in mancanza di alternative, hanno “scelto” quel posto per passare la notte, trasformandolo in una sorta di accampamento di emergenza. Il consigliere, preso da un moto di sincera vicinanza verso quei poveri disgraziati, ci è andato anche a parlare segnalando che si tratta di una zona interdetta, pericolosa a causa degli inquinanti presenti sul sottosuolo e che, se per disgrazia dovesse prendere fuoco, comporterebbe rilevanti rischi per la pubblica incolumità anche per una vasta zona della città. Ragionamenti di totale buon senso, certamente, ma che scontano, alla radice, un dato che viene, volutamente, dimenticato. Posto che il fenomeno, piaccia a no, esiste e non sembra destinato a diminuire (quanto meno nel breve periodo), è evidente come non sia una buona politica quella di chi nasconde la testa sottoterra sperando che i problemi si risolvano da soli. Ogni riferimento alla decisione, prima annunciata e poi rapidamente ritirata, di creare un riparo dignitoso negli spazi tuttora inutilizzati del mercato di via Flavio Gioia non è puramente casuale. Certo tale intervento da solo non sarebbe stato risolutivo del fenomeno ma accompagnato ad una costante attenzione ai trasferimenti in altre regioni e ad una sollecita definizione delle pratiche di esame delle richieste di asilo, forse avrebbe contribuito ad individuare un percorso di soluzione del problema. Così non è stato e allora poco hanno da lamentarsi, infastiditi, quanti protestano davanti allo “stazionamento” nei luoghi più disparati e pericolosi dei poveri migranti! Ancora, leggiamo sui media del vero e proprio grido d’allarme lanciato solo qualche giorno fa’ dal procuratore di Trieste De Nicolo: nel 2022 sono stati aperti ben 8.294 procedimenti penali per ingresso e soggiorno illegale, ovvero il reato previsto dall’art. 10 bis del Testo Unico sull’immigrazione. Bene, direte voi, finalmente una giustizia che funziona! Eh, no, le cose non stanno proprio così! Sempre seguendo il ragionamento del procuratore, in realtà tutta questa mole di attività giudiziaria non approda praticamente a nulla. Perché? Omettendo i procedimenti che vengono archiviati (il che avviene, di solito, quando l’imputato dimostra di essere in fuga da zone di guerra) o che terminano con una sentenza di improcedibilità (allorché l’imputato viene espulso prima che si svolga il giudizio), se si arriva a sentenza la condanna, che si sostanzia in una ammenda da 5 a 10 mila euro, è totalmente inefficace, atteso che nella grande maggioranza dei casi o l’imputato si è reso irreperibile, o, se viene trovato, non paga e comunque non possiede beni pignorabili.