Monfalcone, punto di riferimento per affrontare un processo di integrità nazionale
Dopo la presa di posizione - che ha avuto un ampio richiamo nazionale - del sindaco di Monfalcone, Anna Maria Cisint, che ha contestato la condizione delle donne musulmane che nelle spiagge del territorio entrano in acqua con i loro vestiti, anche in altre realtà cominciano a farsi sentire le reazioni negative dei cittadini e degli operatori degli stabilimenti balneari per questa pratica incivile.
“Ora che la mia denuncia ha avuto a livello locale un certo risultato -rileva il sindaco Cisint -perché è calato il numero di questi casi, sono orgogliosa di aver avuto la risolutezza di rompere l’ipocrisia di tolleranza verso usi e costumi contrari a ogni senso civico. Oggi le ragioni e le contestazioni che abbiamo sollevato a Monfalcone potranno esser presi a modello in altri litorali della regione e italiani affinché si alzino altre voci come la mia che considerano inaccettabile il fatto che chi arriva nel nostro Paese non rispetti le nostre abitudini e le nostre regole, la nostra identità al contrario di quanto avviene per i connazionali che frequentano una nazione islamica dove sono sottoposti a rigide limitazioni vessatorie e anacronistiche della propria libertà. In realtà, questo delle spiagge è solo un aspetto di una battaglia della nostra civiltà e tradizione che voglio portare sino in fondo per contrastare il sistema di cessazione della donna da ‘medio evo’ che vige in certe comunità. Si sta facendo strada una logica che vuole imporre l’islamizzazione dei nostri territori diffondendo le pratiche peggiori dei luoghi di provenienza di questi stranieri, nei quali le donne vivono ancora in una condizione di sottomissione, mortificazione e sudditanza”.
“L’attenzione dei comportamenti sulle nostre spiagge, in ogni caso, continua ad essere al massimo livello, anzitutto per un fatto di decoro e igiene, visto che le donne entrano in acqua con gli stessi vestiti della quotidianità, per non parlare dei rischi in caso di soccorso in mare. Ma questo comportamento è soprattutto lo specchio più evidente della discriminazione femminile basata sulla violenza di chi impone, anche con temperature di oltre 30 gradi, di mantenere la copertura del corpo. E questo vale per tutto il contesto cittadino. Infatti, se da un lato si va in acqua vestite, nelle vie del centro è generalizzato l’uso della copertura integrale del volto, guanti compresi. Escluse dal lavoro, le donne sono subordinate alla vita in casa, mentre le giovani musulmane, a loro volta, vengono limitate nella carriera scolastica e subiscono la pratica dei matrimoni da minorenni, largamente abusata in alcuni Paesi come il Bangladesh. Certo ci vuole coraggio per sollevare con chiarezza la denuncia per il rispetto delle nostre regole di decoro, di pari opportunità e di dignità delle persone, ma contrastare le condizioni praticate da questi stranieri è una scelta che considero necessaria per difendere e tutelare la nostra identità proprio dai rischi di islamizzazione delle nostre società. Fa specie che la sinistra, accecata dal pregiudizio, si oppongano alla nostra azione all’insegna di una integrazione che gli stessi stranieri rifiutano ostentatamente”.
“La città di Monfalcone è oggi punto di riferimento per affrontare un processo di integrità nazionale delle nostre realtà perché è stato rotto il limite di tollerabilità sociale e urbana legata alla presenza degli stranieri, che arrivano al 30 per cento della popolazione, con una componente musulmana prevalente la cui dinamica demografica incide sugli equilibri della convivenza e richiede un nuovo impegno per salvaguardare i nostri presupposti di civiltà. Per questo stiamo portando avanti con sempre più determinazione la nostra azione: dal controllo dei flussi, alle nuove regole sui ricongiungimenti, alla promozione della manodopera locale, ma anche agli interventi sui fattori culturali e ai comportamenti inaccettabili e contrari al nostro comune sentire e alle nostre regole”.