Desto o son sogno, in scena un atto di gran coraggio

Nella nostra Trieste, nel 2021, nasce un progetto teatrale e poetico intriso di immaginazione, assurdo e visione onirica. I giovani della compagnia decidono di raccogliere l’eredità di Basaglia, diventando portavoce di ciò che, nella società odierna, resta spesso taciuto: i pensieri celati dal pudore, quello stesso pudore che, da sempre, scuote la psiche collettiva e alimenta conflitti profondi. La loro risposta artistica vuole essere la voce risolutrice di questi: portare in scena l’inconscio, con le sue luci e le sue ombre, abbattendo i vincoli della normalità imposta. “Cos’è quindi la normalità?” chiedo ad Eleonora Ferrari, presidentessa dell’associazione nonché poetessa e drammaturga, ricevendo inizialmente soltanto una smorfia divertita. Risponde che una normalità davvero definibile tale non esiste, che è sbagliata la domanda in sé. Follia e ragione coesisterebbero e vicendevolmente si influenzano, ogni tanto prevalendo in un carattere, sì, ma mai arrivando a definire un metro di “normalità” universalmente accettabile. “Spiegati meglio, per favore". Prende piede, allora, il racconto effettivo della loro storia. I primi progetti hanno toccato l’argomento degli attacchi mafiosi e terroristici, con le voci di eminenti giornalisti quali Caruana Galizia e De Mauro, entrambi assassinati per i loro lavori di indagine sui poteri oscuri ed i loro pericolosi intrecci, nelle loro corrispettive aree geografiche. Per poi toccare il simile impegno civile dell’intramontabile Pasolini in “antinovecento”, ospitati dalla libreria Ubik in Galleria del Tergesteo. Qui il collettivo ha trovato spazio fertile per sperimentare e creare: un laboratorio teatrale accogliente per ridare voci ai dimenticati della storia, voci rimbombanti ancora nei corridoi della memoria e dell’identità italiana. Si parla ad esempio di Matilde Serao, giornalista visionaria e nostra personale Emile Zola, o del letterato inglese Byron, reinterpretato secondo nuova linfa poetica. Il gruppo ha dimostrato di elaborare il passato nei suoi grandi valori, talvolta preferendoli di gran lunga a quelli moderni, facendo accento sui personaggi che più hanno lottato per mantenerli vivi, o in certi casi lottato per farli sopravvivere. Il lavoro di “desto o son sogno” si distingue soprattutto da una profonda vena controcorrente: opposta alla banale omologazione dell’arte e della vita, si distanzia anche dall’utilizzo di smartphone in scena, ritenuti il mezzo di inganno sociale tramite apparenze per eccellenza, lontano anni luce dai propositi di espressione vera e nuda che caratterizza i loro propositi creativi. Sottraggono sacralità all’essere umano, spiega Eleonora. La scena per il gruppo deve necessariamente restare uno spazio puro, archetipico, dove l’antico risorge e il nuovo è accolto quando e se necessario. Per quanto riguarda invece le programmazioni e le uscite, Eleonora cerca di non riproporre mai i vecchi lavori: certo, in quelli nuovi permane sempre la scia dei lavori passati, ma lei non lo trova corretto nei confronti del pubblico desideroso di novità, oggigiorno quasi costante, e neanche nei confronti degli artisti in scena. Ogni testo, infatti, risponde ad esigenze psicologiche determinate dal momento, e riproporlo sforerebbe questa necessità così intrinseca al progetto stesso. Ultimamente collaborano con Radio Fragola, emittente che da anni riflette sul tema della psiche e della marginalità. Citando Claudio Misculin, che presso la stessa sede fu regista, attore e attivista impegnato nell’integrazione tra arte e salute mentale, “normale non esiste: esistono patti sociali che alle volte sembrano irrinunciabili”. La rinuncia totale al proprio lato folle è dunque da considerarsi quasi come una zavorra autoinflitta, un filtro coercitivo della propria vera essenza di cui l’arte più di ogni altra cosa si ciba. Oltretutto, è curioso apprendere dalle parole della presidentessa che la realtà nasca proprio da questa follia individuale di fondo e, dunque, anche le sue stesse norme che fondano la morale comune. Attraverso messe in scena libere e giocose la follia è in grado di emergere dai fondali dell’inconscio sino a creare un teatro profondamente autentico, capace di unire artisti e spettatori in situazioni ricche di coinvolgimento emotivo e umanità. Cita Eleonora episodi che l’hanno personalmente commossa, come quello dell’intervento di una signora anziana dalla platea che, confidandosi, ha ringraziato gli artisti di averla aiutata con la loro opera a guardarsi dentro senza più timore; oppure un altro in cui, sempre dopo una rappresentazione, una bambina si è messa a giocare con degli amichetti imitando le scene a cui avevano appena assistito insieme. In un’epoca in cui la realtà sembra spesso affollata da simulacri, il lavoro di “Desto o son sogno” desidera presentarsi come un atto di gran coraggio: quello di restituire centralità all’umano, con le sue fragilità e le sue contraddizioni, anche quando portatrici di sfide. Un teatro che non consola, ma che preferisce rivelare. Non esclusivo, penetrante l’animo umano sino alle radici. Per rispondere anche alla ricerca spasmodica di oggi dell’utile piuttosto che del dilettevole, l’arte trova così modo di tornarci davvero necessaria: smettendo di spiegare il mondo e cominciando, umilmente, a sentirlo.
ELEONORA CARCARINO
