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I Balcani dove vanno?

A cavallo tra il Mediterraneo e l'Europa continentale, a partire dall'inizio del secolo, i Balcani sono stati lasciati fuori dal gioco geopolitico a causa delle loro limitate dimensioni economiche e demografiche. Eppure sono la scena di un confronto informale fra tre grandi potenze: Stati Uniti, Unione Europea e Cina, con quest'ultima che approf...
 |  Francesco Tremul  |  Geopolitica

A cavallo tra il Mediterraneo e l'Europa continentale, a partire dall'inizio del secolo, i Balcani sono stati lasciati fuori dal gioco geopolitico a causa delle loro limitate dimensioni economiche e demografiche. Eppure sono la scena di un confronto informale fra tre grandi potenze: Stati Uniti, Unione Europea e Cina, con quest'ultima che approfitta della stagnazione del processo d'integrazione europea per imporsi come partner essenziale.

Interagire con i Balcani occidentali significa relazionarsi con sei governi, sei sistemi normativi ed in generale con sei Stati molto frammentati al loro interno sul piano etnico-nazionale. E’ complicato per qualunque attore esterno operare in questa area e le maggiori difficoltà le incontra il soggetto che avrebbe le maggiori aspettative: l’UE. I Balcani occidentali necessitano di attenzione costante e drenano una quantità di risorse finanziarie, politiche e diplomatiche che Bruxelles, impantanata in dossier molto più urgenti come il Recovery Fund, non pare al momento in grado di assicurare. L’UE è l’attore che più investe nell’area. Solo l’anno scorso ha annunciato un pacchetto di investimenti che dovrebbe raccogliere fino a 9 miliardi di €. E nel budget pluriennale 2021-2027 dell’Unione sono stati allocati 14 miliardi di € per gli strumenti di assistenza preadesione, gran parte dei quali finiranno nei Balcani occidentali, essendo la Turchia ormai solo un candidato immaginario. Ma l’azione comunitaria verso questa regione resta azzoppata dalle divergenze tra gli Stati membri: esempio eloquente il fatto che cinque Paesi UE non riconoscono il Kosovo.

Gli USA mantengono ancora saldamente la propria supremazia nel campo che più conta: la sicurezza. Seppur a rilento, l’espansione della NATO è continuata: nel 2017 è stato accolto il Montenegro, a lungo corteggiato vista la sua rilevanza strategica come ipotetica testa di ponte della Russia sull’Adriatico, nel 2020 è stata la volta della Macedonia del Nord. Nel 2018 è stato nel frattempo attivato anche il Membership Action Plan con la Bosnia. Nei Balcani occidentali la presenza economica degli USA è irrisoria, anche se le donazioni delle agenzie governative – prima fra tutte l’Usaid – restano uno strumento efficace per indirizzare fondi copiosi dove interessa a Washington, per esempio nei media.

Mosca, vista classicamente come la protettrice degli slavo-ortodossi (che formano la maggioranza in Serbia, Montenegro e Macedonia del Nord e una folta minoranza in Bosnia), ha negli ultimi tempi tentato un avvicinamento a Zagabria nell’ottica di seminare discordia nel blocco UE. Mentre la Serbia è oggi molto più legata alla Cina di quanto lo sia alla Russia.

L’azione della Cina (che non riconosce il Kosovo) è finita più spesso sotto i riflettori per la costruzione di infrastrutture strategiche. Anche se la potenza asiatica è l’unico attore esterno che non può vantare un legame storico con la regione, nell’ultimo decennio è riuscita a incrementare notevolmente la propria influenza tramite un paniere molto diversificato di attività. L’emblema dell’incursione di Pechino è la ferrovia Belgrado-Budapest. Un’altra iniziativa alla ribalta è la costruzione dell’autostrada Bar-Boljare in Montenegro che connette la costa adriatica con le direttrici commerciali che tagliano la Serbia. La Cina si è inserita anche in altri appalti, soprattutto in Bosnia, dove aziende cinesi si sono accaparrate la costruzione di alcuni tratti autostradali e l’ampliamento della centrale termoelettrica di Tuzla. L’impronta influente della Cina è stata resa possibile dall’afflusso di circa 14 miliardi di dollari in sovvenzioni, prestiti, fusioni e concessioni economiche dal 2009 e circa 50 miliardi di dollari in progetti di infrastrutture, energia e telecomunicazioni che sono attualmente in corso o in attesa di attuazione.

La crescente cooperazione con la Serbia in ambito tecnologico e addirittura militare dimostra che la Cina non è più solo un partner commerciale. Tuttavia, la crescente tensione con gli USA sta rendendo la Cina un partner sempre più ingombrante per gli Stati balcanici. Questi sanno bene di poter tirare la corda solo fino a un certo punto, soprattutto i tre di loro (Albania, Montenegro e Macedonia del Nord) che già appartengono alla NATO.

In società sempre più materialiste, consumistiche e individualistiche, l’influenza dei due vettori ideologici su cui si innestava l’influenza della Russia (ortodossia e panslavismo) non basta per avere voce in capitolo. Il soft power russo allora ha tentato la carta dell’energia, da cui dipendono pressoché tutti i paesi della regione e quella dei media, senza però riuscire a giocare un ruolo cruciale. 

In modo speculare a quanto fa la Russia, la Turchia agisce come faro delle comunità musulmane, maggioranza in Bosnia, Albania e Kosovo, minoranza in Serbia, Macedonia del Nord e Montenegro. Presso questi gruppi politico-sociali il presidente turco riscuote un favore simile a quella di Putin presso gli slavo-ortodossi. Tuttavia, Ankara è oggi molto più vicina a Belgrado di quanto sia alle capitali degli Stati a maggioranza musulmana. E la dirigenza serba si presta volentieri a questa interazione, anche per scopi di consenso interno. La longa manus turca opera nel campo della diplomazia culturale tramite l’agenzia governativa Tika, nel settore educativo tramite le sedi distaccate dell'istituto Yunus Emre e in quello mediatico, dove alcuni media come Anadolu Trt sono molto seguiti.