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Dal 2000 fallite 183 società, Gasperutti: "Manca la sostenibilità, a Trieste sbagliati gli attori"

Ho fatto una ricerca che tutti i curiosi come me possono tranquillamente effettuare consultando internet, che è sempre una grande fonte di dati: dal 2000 ad oggi, sono ben 183 le società professionistiche che hanno dichiarato fallimento o sono state escluse dai campionati. Agli inizi del secolo fa…
 |  Redazione sport  |  Serie C
Bruno Gasperutti
Ho fatto una ricerca che tutti i curiosi come me possono tranquillamente effettuare consultando internet, che è sempre una grande fonte di dati: dal 2000 ad oggi, sono ben 183 le società professionistiche che hanno dichiarato fallimento o sono state escluse dai campionati.
Agli inizi del secolo facevano impressione i fallimenti di grosse squadre che rappresentavano piazze con grande seguito sportivo, possiamo ricordare Napoli, Fiorentina, Torino, Parma ma anche quelle che sono state salvate per il rotto della cuffia….. o con artifizi fantasiosi, come Lazio e Roma.
Poi da qualche anno a questa parte, ecco che i fallimenti hanno riguardato piazze certo importanti, ma non del massimo livello come: Triestina, Ancona, Bari, Spal, Siena, Catania, Casertana, Sambenedettese, Livorno, Trapani, Novara, Foggia e la lista è lunga lunga e riguarda Società che dovrebbero e potrebbero competere ad alti livelli, per il seguito e la passione dei propri tifosi, ma che per delle gestioni scellerate,hanno dovuto portare i libri in tribunale.
Ho assistito a lunghi dibattiti in tivù tra persone ben più competenti di quanto lo sono io, ma nessuno ha mai dato una spiegazione certa e inequivocabile e nessuno è mai riuscito a trovare la formula giusta per evitare che succedesse tutto ciò. Come tanti appassionati anch’io ho cercato di riflettere sull’argomento e darmi delle motivazioni plausibili. Ora cercherò di fare delle riflessioni ad alta voce motivandole, sono riflessioni e non verità assolute, che possono trovare assenso ma anche dissenso, vediamo.
Per me la parolina magica che dovrebbe essere il fondamento principale per la buona gestione di qualsiasi Società è: SOSTENIBILITA’ sia si parli di quella di una famiglia, sia quella di una qualsiasi attività commerciale e nel nostro caso, sportiva. Già, ma come sosteniamo noi la nostra famiglia? Semplice, se incasso 100, posso spendere 100 e non una lira di più, altrimenti ho bisogno di prestiti che però a lungo andare, se troppo onerosi, mettono in difficoltà e possono portare al dissesto economico.
Purtroppo ci sono delle variabili nella vita di tutti noi per eventi che non possono essere previsti, per cui il mese successivo devi fare dei sacrifici sulle spese e allora: o si deve vendere qualche oggetto prezioso o ancora richiedere un prestito per far fronte al debito.
Fino a questo punto, penso possiamo tutti essere d’accordo. Vediamo allora come possiamo trasferire tutto questo discorso su una squadra di calcio e parliamo di Triestina che è l’argomento caro a tutti noi. L’ investitore (buon padre di famiglia) che si è preso l’onere di prendere in mano la nostra amata squadra, ha immesso dei capitali importanti per azzerare il pregresso e ha programmato il futuro con un buon budget per il medio periodo di gestione, che avrebbe dovuto e potuto lanciarla verso le zone nobili della Serie C e con un po’ di fortuna farle ottenere quella promozione tanto desiderata.
Non potendo seguire direttamente questa sua creatura, ha dovuto scegliere dei collaboratori come si fa in ogni azienda, per amministrare la Società.
Sempre su internet sono rintracciabili le sue prime dichiarazioni: programmiamo una crescita della Società in un medio periodo di 3 anni, con l’obiettivo di consolidarci per poi raggiungere la serie B stabilmente. Com’è andata lo sappiamo tutti ed è inutile ritornarci sopra: fallimento completo sia sportivo, che gestionale e futuro non nebuloso, ma direi nero e al momento senza grossi squarci di sereno che possano far intravvedere una soluzione positiva. 
Ma qual è il grosso nodo che fa scoppiare il bubbone in tante piazze importanti? Mi rifaccio al discorso precedente: è la sostenibilità. Fino a quando non ci rendiamo conto che si può spendere solo quello che si fattura, andremo sempre incontro a situazioni del genere, perché sarà sempre obbligo dell’investitore la copertura di eventuali disavanzi e questi oltre ad avere la disponibilità e liquidità, potrebbe prima o poi sbaraccare, lasciando dietro a sé solo macerie e fallimenti.
Ma quali sono le entrate di una Società come la Triestina, sulle quali si può contare per programmare un campionato? Partiamo ovviamente dal budget programmato dal proprietario che diciamolo subito corrisponde almeno al 75/80% delle risorse da impiegare. Poi ci sono sponsor, utili derivanti da investimenti e ultimo ma molto ultimo, il botteghino.
I nostri amministratori hanno dilapidato un patrimonio in due anni, capitali che avrebbero potuto e dovuto se amministrati giudiziosamente, farci competere senza se e senza ma, fino all’ultimo per la vittoria del campionato.
Per fare un esempio, a Monza con quell’investimento sono saliti in poco tempo sino alla Serie A.
Purtroppo rispetto alle piazze importanti Trieste offre ben poco: uno stadio bellissimo, che però costa, una tifoseria affezionata più o meno 2500 persone, che sono lo zoccolo duro, oltre a 5000 fastidiosi saltuari criticoni, che sono più un deterrente che un aiuto alla causa. Altre risorse purtroppo non ce ne sono perché la Società da tempo immemore non crea nulla dal settore giovanile, anche perché non possiede strutture sportive e per fare tutta l’attività deve spendere parecchio per noleggiare campi di allenamento, quindi ragionandoci sopra, la Triestina non è nemmeno al livello di una squadra dilettanti anche della nostra città, perché S. Luigi, S. Sergio (ossia Trieste Victory) e Muggia sono molto meglio strutturate soprattutto come impiantistica della Triestina.
Fare anche una Serie D a Trieste è molto difficile e dispendioso, infatti a confermare quanto affermo per le squadre dilettanti locali pur essendo magistralmente guidate, il salto in Serie D è sempre un passo molto complesso e comporta sacrifici notevoli e generalmente si tratta di una andata e ritorno: lo dice la storia degli ultimi 50 anni della nostra città.
Certo la Triestina è la Triestina, come storia, come importanza, come specchio della nostra città, ma …la sostenibilità necessaria è sempre quella e c’è sempre l’esigenza da metterla al primo posto come rilevanza.
Da sempre per me il concetto fondamentale è che bisogna sempre costruire prima una solida base che possa mantenere la squadra ad un livello superiore, poi la squadra. Qui per esempio si punta sempre a comperare e spendere per cercare la promozione, che poi eventualmente raggiunta, non si è in grado di sostenere se non acquistando ancora e ancora, fino al momento in cui salta il banco. E’ sempre stato così: con De Riù e poi con Berti, presidenti benemeriti, che finchè hanno speso sono riusciti a mantenere la squadra a certi livelli, poi il nulla, il baratro, perché è la naturale conclusione di una squadra e di una città dove è difficile fare calcio. Questo vale per Trieste ma vale anche per tutti gli altri.
La sostenibilità si raggiunge diversamente, significa avere una sede adatta vivibile da tutti, magari che produca introiti, un centro sportivo dove tutte le squadre possano allenarsi assieme, un settore giovanile importante e non improvvisato che ogni anno riparte, ma che ogni anno crei un certo numero di giocatori magari soltanto per le squadre dilettanti, così si crea un movimento. Le squadre maggiori italiane hanno tutto questo, Empoli, Udinese, Lecce … vivono e proliferano così; anche parecchie formazioni provinciali che andiamo ad incontrare nella terza serie, sono provviste di strutture che noi ci sogniamo.
Ho visto in tivù Caldiero Terme, 8000 anime, ma con uno stadio pur piccolo ma dignitoso e 3 campi d’allenamento attorno. Tutto questo di cui sto parlando porta risorse che poi possono essere impiegate nella formazione di una Prima squadra ambiziosa: la crescita della base porta denaro, la crescita di un settore giovanile porta denaro. Facciamo mente locale: gli ultimi triestini che hanno calcato le serie maggiori sono usciti da vivai della nostra città; i Petagna, i Pobega, gli stessi Maracchi, Steffè, Pizzul, ma non dalla Triestina, come mai? L’ultimo forse è Nicola Princivalli, ma parlo di 30 anni fa.
Come pensiamo che anche eventualmente salendo in Serie B, la Triestina possa rimanervi ed essere competitiva per degli anni? Dovremmo forse sempre acquistare giocatori, avere la fortuna di azzeccarli tutti e se ce n’è uno buono, guai a venderlo perché altrimenti il popolo alabardato si ribella……”Moscardelli non si tocca” o “Berti put…. l’hai fatto per la grana” ?!? Con questa mentalità e questa visione d’assieme non si va lontano e saremo sempre destinati a mangiarci il fegato, nelle mani di gente che viene da noi ad investire, ma per il proprio tornaconto, perché vede con un po’ di fortuna, la possibilità di guadagnarci, non certo….. per la maglia!
Il buon Ben, probabilmente non sapeva nemmeno dov’era Trieste e che colore aveva la maglietta della sua squadra; è venuto con tutte le più buone intenzioni, ha programmato, ha speso e tanto, ma ha sbagliato tutto nell’amministrazione del suo investimento scegliendo gli attori sbagliati.
Tempo fa ho fatto una riflessione: se mi dessero capitali immensi e mi dicessero fai una squadra di baseball per vincere la Major League Usa, penso che fallirei come hanno miseramente fallito gli americani a Trieste. Il calcio è già di per sé complesso, poi quello della C e un mondo totalmente diverso da quello maggiore che si vede in tivù e che magari loro già conoscono a malapena. Nel basket si sono dimostrati capaci, ma quello è pane per il loro denti, per fare calcio di C ci vogliono personaggi che la C la conoscono, non si improvvisa nulla, pena il falllimento.
 
BRUNO GASPERUTTI   
Parole chiave: Trieste
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