Fragilità e disagio giovanile, Zinnanti: "Ci vorrebbero tanti Velasco per indicare la corretta via per una società più giusta"
| Redazione sport | Commento del giorno

Un momento della cerimonia, a sinistra Julio Velasco
Ci voleva proprio la lectio magistralis del neo-dottore in Psicologia Julio Velasco per affrontare, in termini chiari ed empatici, il tema della fragilità e del disagio giovanile che tanto preoccupa la nostra società e ne blocca, di fatto, qualunque seria prospettiva di crescita e di sviluppo.
Ma facciamo un passo indietro. L'occasione per sentire le sagge parole di Velasco (uno dei coach più vincenti nella storia del volley sia maschile che femminile della nazionale italiana) è stata la recente cerimonia per il conferimento, da parte dell'ateneo triestino e su impulso del quotidiano locale, della laurea honoris causa in Psicologia, evento che lui per primo ha vissuto con grande coinvolgimento emotivo, trattandosi della prima laurea conferita da un'università italiana ad un personaggio di tale spessore.
Merita analizzare con la dovuta attenzione le sue parole precedute, come d'uso, dalla lettura della laudatio (ovvero della motivazione della laurea) da parte di Tiziano Agostini, professore ordinario di Psicologia Generale, che ha ben illustrato la singolarità del personaggio: "sarebbe profondamente riduttivo definirlo solo attraverso i successi sportivi. La sua figura rappresenta un punto di riferimento straordinario per chiunque si occupi di dinamiche di gruppo, leadership, motivazione, comunicazione e cultura organizzativa. In altre parole: di psicologia applicata. Il suo contributo rappresenta un ponte tra il sapere scientifico e l'agire concreto, tra teoria e prassi, sport e società". Come a dire che il principale merito di Velasco consiste proprio nell'aver messo in pratica, a livello di team sportivo, tanti bei principi elaborati a livello teorico dal pensiero psicologico ma che spesso trovano difficoltà a calarsi nella realtà di tutti i giorni e non solo nell'ambito sportivo. Per altro verso, scartabellando un po' nella sua biografia, si apprende che Velasco, fin da giovane, avrebbe voluto fare il professore di filosofia, ma poi, causa il golpe militare argentino del '76 che costò la vita ad un suo caro amico, fu costretto ad abbandonare la facoltà (a sei esami dalla laurea) e ad iniziare la sua stupenda avventura quale allenatore nella pallavolo.
Di prammatica la sua dedica speciale a Trieste: "ricevere la laurea honoris causa a Trieste è un'emozione unica, questa è una terra di dialogo tra culture diverse, di contaminazioni. Nelle città di frontiera è ancora più esplicito questo aspetto: per me sono cose naturali il dialogo e la contaminazione". Come a dire che è bastata qualche ora di soggiorno triestino a Velasco per interpretare ed illustrare con poche parole la natura più genuina della nostra città. La genialità della persona si è evidenziata poi nel corso dell'incontro con i media quando ha voluto sottolineare il grande significato che va attribuito al conferimento di questa laurea honoris causa: "questa laurea può essere considerata anche un riconoscimento al valore culturale, intellettuale, formativo e scientifico dello sport. Lo sport ha un valore in sé, come la musica, la poesia o il balletto, solo che a differenza di questi ultimi non è mai stato considerato una attività culturale. Ma qual è la differenza tra un ballerino e uno sportivo? La bellezza del gesto? No, è solo convenzione culturale. Lo stesso vale per le lacrime di chi perde una partita: perché devono valere meno di chi si commuove per un film romantico o per la bellezza di una poesia?".
Fatte queste impegnative affermazioni in cui ha colto il significato profondo che può rivestire il bel gesto sportivo, il settantatreenne coach argentino, dopo un comprensibilissimo momento di emozione, ha sciorinato ventisette minuti di lectio magistralis dal titolo "allenare la mente" che costituiscono davvero una preziosissima lezione di vita per chi vorrà far tesoro dei suoi insegnamenti. Velasco nella sua analisi è partito dalla saggezza latina, ovvero dalla celebre locuzione "mens sana in corpore sano" per sostenere che anche al giorno d'oggi lo sport non è solo attività fisica "pensiamo a quello che fa un giocatore: legge e interpreta una situazione e deve farlo in frazioni di secondo. Non è consapevole di ciò che fa, perché l'elaborazione è troppo veloce, eppure è un'operazione razionale. L'intuizione non è una magia, ma un'operazione molto veloce del cervello. La grande rivoluzione metodologica dello sport è data dalla conoscenza di come funziona il cervello. Il processo mentale è poi condizionato dallo stato fisico e dal rapporto con l'avversario". Naturalmente, oltre alla condizione fisica e alla prontezza di risposta mentale, ci sono altri fattori che determinano il risultato sul campo di una squadra: la pressione emotiva generata dall'obbligo di vincere e, soprattutto, la mentalità di una squadra: "Si deve creare - sostiene Velasco - un piccolo microcosmo di mentalità produttiva, efficace, che aiuti. L' "io" non diventa mai "noi", sopravvive sempre. Per costruire una squadra diversi "io" devono funzionare meglio insieme....Perché bisogna giocare di squadra? Perché conviene. Lo so, una risposta cinica". Ecco che il discorso del neo-dottore si avvicina al centro della sua attenzione, ovvero il mondo giovanile. "Dobbiamo cercare di capire l'altro partendo dal fatto che l'altro non è come noi. Così come sono diversi maschi e femmine. Io sono io, non sono un settantenne, allora perché diciamo "i giovani" mettendoli tutti nella stessa borsa, tanto più per criticarli? Se vogliamo che giochino di squadra, dobbiamo capire come funziona ognuno di loro. Per far dare il meglio, si deve partire da quello che fanno già bene, dal loro punto di forza e metterlo in evidenza. Poi si lavora per correggere l'errore. Uno, due, non di più. A volte in nome della perfezione vogliamo migliorare tutto, ma nessuno può cambiare dieci cose contemporaneamente". Sagge, davvero parole di grande saggezza, rispetto e umiltà nel rapportarsi col mondo giovanile. Quanto alle differenze, supposte, tra la "generazione di fenomeni" (ovvero la Nazionale azzurra degli anni '90 che Velasco portò in vetta al mondo nel 1990 e nel 1994) e quella attuale (ovvero la Nazionale femminile con la quale il coach argentino ha vinto il titolo olimpico a Parigi l'anno scorso) ecco le sue chiarissime parole: "tra i giovani di oggi e i giovani di allora non c'è grande differenza. C'è grande differenza, invece, tra i genitori che oggi pensano che la minima sofferenza per il loro figlio o la loro figlia possa essere una cosa terribile e indelebile. Invece le piccole difficoltà sono come i batteri per i bambini, sviluppano il sistema immunitario e li fanno diventare più forti. Se trattiamo i giovani da deboli saranno deboli. E dobbiamo combattere l'idea che l'errore sia una dimostrazione di inadeguatezza, di incapacità. Perché i ragazzi sono così bravi nell'usare i dispositivi elettronici? Perché nessuno li giudica: li usano, imparano dall'errore e si correggono. Correggere è importante, giudicare è dannoso: dobbiamo correggere i giovani spiegando loro cosa è giusto, ma giudicarli li fa sentire solo inadeguati. Questo è importante ancora di più per le ragazze che per secoli sono state abituate a pensare che il loro errore pesasse di più. Loro stesse ancora si giudicano troppo, ma non c'è modo migliore di imparare che sbagliando. Io voglio giocatori autonomi e autorevoli, l'ho detto alle mie atlete della Nazionale: devono sapere di pallavolo, curare il loro corpo. E devono essere autonome, perché sul 24 pari sono sole sul campo in quei momenti di grande tensione e stress. Certo, è importante creare un sistema ma poi ci vuole sempre autonomia. Non è coraggioso chi non ha paura - la chiusura bellissima del coach - perché chi non ha paura è un incosciente, è coraggioso chi sa gestire la paura, la sa combattere e riesce a fare le cose che servono. Malgrado la paura".
In tutta onestà, sono pensieri talmenti profondi e sinceri che, e non sembri una provocazione ma un desiderio reale, ci auguriamo che molto presto possano essere letti e diffusi nelle scuole superiori non solo di Trieste ma di tutto il Paese. Crediamo che a fronte di rapporti difficili (se non inesistenti) con i nostri giovani, questi, in apparenza, semplici insegnamenti possano costituire una guida per farsi strada nella vita, senza farsi prendere dallo scoramento e senza cercare pericolosi rifugi artificiali. Noi, noi tutti abbiamo bisogno dei nostri giovani per dare un senso e un futuro alla nostra società. Ci vorrebbero tanti Velasco per indicare, a genitori e giovani, la corretta via per una società più giusta ed in cui ognuno possa sentirsi valorizzato e capito.
Mauro Zinnanti
Parole chiave: Primo piano, Trieste